“UCCIDI TUA FIGLIA”. FIGLICIDIO E MALATTIA MENTALE: APPROCCIO PSICHIATRICO-FORENSE AD UN CASO CLINICO
Il figlicidio è uno dei crimini che più sconvolge l’opinione pubblica: si tende a considerare inconcepibile che una madre giunga ad uccidere un figlio, anche appena messo al mondo, e che la famiglia non sia più soltanto un luogo d’amore ma anche lo scenario di efferati delitti, che il “mostro” sia dentro la casa.
Ma il figlicidio nella storia dell’uomo è sempre esistito: nell’antica Grecia e nell’antica Roma al neonato non veniva riconosciuto alcun diritto ed era considerato “proprietà” dei genitori, i quali potevano disporre della sua vita. Solo l’avvento del Cristianesimo ha sancito il diritto alla vita fin dalla nascita, togliendone, almeno dal punto di vista dei valori, la “disponibilità” ai genitori.
La maggioranza delle madri che uccide lo fa con le proprie mani: provoca un trauma alla testa del bambino oppure lo soffoca o l’annega. Il bambino su cui si accanisce è sempre il più piccolo della famiglia, cioè quello con cui per necessità lei ha un rapporto più stretto. Ma perché lo sopprime? Cosa avviene nella sua mente?
Gli studi criminologici ci dicono che la percentuale di madri figlicide che soffrivano di disturbi mentali al momento del fatto è piuttosto alta, dal 61 al 71% , con una netta maggioranza di patologie depressive, 50% circa ed il resto affetto da patologia psicotica.
Ma quasi tutti i figlicidi affondano le radici in quella che potremmo definire una “sofferenza mentale negata”, patologia che sarebbe stato possibile riconoscere e curare.
Il caso che affronteremo è quello di L.Z. donna valtellinese di anni che nel 2002, in preda ad una depressione acuta, uccise la propria bambina mettendola nella lavatrice. Verrà brevemente ripercorsa la dinamica del delitto e discussa la perizia psichiatrica effettuata dallo scrivente.
Relazione presentata al III CONGRESSO NAZIONALE DELL’ OPG DI CASTIGLIONE DELLE STIVIERE - “LA DONNA DA VITTIMA AD AUTRICE DI REATO” - MANTOVA 22/24 GENNAIO 2009
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