SUICIDI, GUAI A PARLARNE TROPPO
Alcuni episodi si sono verificati anche di recente, ma in realtà la piaga dei suicidi in provincia di Sondrio è sempre aperta. I trattati e gli studi in materia si sprecano, soprattutto allo scopo di appurare le cause che portano una persona alla decisione di togliersi la vita. Ma non mancano nemmeno i lavori sul rapporto tra suicidio e comunicazione, come illustra lo psichiatra e psicoterapeuta sondriese Claudio Marcassoli.
«Sono diversi gli aspetti di cui bisogna tenere conto quando si divulga la notizia di un suicidio, per la maggior parte collegati all’effetto imitativo che la pubblicazione del fatto nel modo sbagliato può provocare» spiega il professionista. Che però avverte: «Attenzione, non arriverei alla conclusione che la notizia del suicidio sia pericolosa in sé, che da sola basti a scatenare l’emulazione e che quindi debba essere del tutto censurata. Direi piuttosto che il giornalista deve porre la massima attenzione a come comunica l’episodio, per esempio evitando il sensazionalismo e sorvolando sui particolari relativi alla modalità del suicidio, tutti elementi che, nella mente di una persona già predisposta, posso provocare il cosiddetto suicidio imitativo».
A conclusioni di questo tipo gli psichiatri erano arrivati già più di due secoli fa. «Quando nel 1774 fu pubblicato "I dolori del giovane Werther" di Goethe si verificò un numero talmente alto di suicidi che la diffusione dell’opera fu addirittura proibita - spiega Marcassoli -. È a questo proposito che nel 1974 il sociologo Phillips ha coniato l’espressione "effetto Werther". È proprio il tipo di pubblicità dato a questi fatti che può influenzare il tasso dei suicidi, come dimostrano diversi studi americani e francesi». E non mancano gli esempi vicini a noi. «Ricordo l’episodio della notte del 1° settembre 1990, quando a Prato allo Stelvio tre ragazzi si sono tolti la vita in auto con i gas di scarico lasciando un biglietto con scritto "Questa vita non ha prospettive". La tragedia ebbe vasta eco sensazionalistica. Risultato: nelle settimane seguenti quasi ogni giorno si verificarono dei suicidi con la medesima tecnica, morirono in tutto 14 ragazzi».
È quello che gli studiosi definiscono "effetto copycat" che cresce in proporzione alla popolarità del soggetto, come testimoniano i numerosi suicidi che seguirono la morte dell’attrice Marylin Monroe. «Bisogna precisare che quando qualcuno si toglie la vita normalmente alla base c’è sempre un aspetto patologico, una predisposizione - ancora lo psichiatra sondriese -, ma in soggetti di questo tipo l’impatto mediatico può far superare la soglia suicidiaria e portare a compimento il gesto. Ecco allora perché nelle cronache bisognerebbe evitare ogni aspetto, per così dire, positivo dell’episodio, come la glorificazione del defunto e la razionalizzazione dei motivi, mentre avrebbe effetti pedagogici la sottolineatura degli aspetti negativi legati alla critica del suicidio e alla discussione sulle alternative».
Da “LA PROVINCIA QUOTIDIANO di SONDRIO” DELL’ 08.11.2008