NON PERDIAMO L'OCCASIONE PER FARNE DEGLI UOMINI
Qualche riflessione alcuni giorni dopo il fatto, alla luce delle prime decisioni della Magistratura e quando appare più chiara la strategia difensiva dei due giovani.
Ci troviamo davanti al perenne conflitto tra le esigenze di sicurezza sociale e le esigenze educative e riabilitative di giovani che hanno commesso un grave reato; tra chi invoca pene certe, rapide e comunque severe e chi pensa che sia meglio togliere prima possibile i giovani dal circuito giudiziario, ritenendolo dannoso e inopportuno.
Proviamo a centrare l’attenzione sui due protagonisti: ho già avuto occasione di scrivere che essi non sono da trattare come adulti criminali o recidivi, ma come giovani immaturi che devono assumersi la responsabilità del loro gesto.
Un’esperienza come quella di aver cagionato la morte di un bambino lascia sempre e comunque il segno nel futuro dei responsabili, e lo lascerebbe anche se essi fossero riusciti nell’ intento di sfuggire alla giustizia; curando gli adulti spesso troviamo gli esiti non risolti di queste drammatiche esperienze.
Così come lasceranno il segno anche le decisioni che saranno prese nei loro confronti.
Siamo sicuri che un iter giudiziario, nei distinti ruoli che Magistratura e Difesa assumono, che tenda a “derubricare” il più possibile la gravità dell’accaduto, che punti subito e comunque a far riprendere loro la vita quotidiana ( “ricominciamo una vita normale, intanto riportiamoli a casa e poi vedremo” ) sia la strada migliore per il loro bene? Siamo sicuri che saranno in grado di superare questa esperienza utilizzando scorciatoie legali e burocratiche senza affrontare un percorso complesso e difficile?
Un percorso riabilitativo che deve passare attraverso almeno quattro momenti: la consapevolezza, intesa come coscienza reale di quanto hanno commesso non limitata alle emozioni dei primi giorni, ma che si fondi su un vero pentimento; la responsabilizzazione, cioè l’assunzione del ruolo di autori del reato e delle proprie colpe; la riparazione (purtroppo non dell’irreparabile), attraverso un incontro con la famiglia del piccolo Renzo e il coraggio di guardare negli occhi i suoi genitori chiedendone il perdono, (esistono degli utili strumenti di mediazione per questo tipo di incontri); l’espiazione, attraverso momenti riabilitativi e attività socialmente utili che essi stessi potrebbero pensare ed intraprendere spontaneamente, oltre a quello che stabilirà la legge.
Un percorso di questo tipo garantirebbe una sintesi corretta tra le esigenze di sicurezza sociale, il rispetto della piccola vittima e la giusta sanzione, e sarebbe la miglior garanzia del bene futuro dei due giovani e della loro famiglie, rifuggendo la tentazione delle scorciatoie legali e la chimera di una riabilitazione personale senza impegno e dolore.
Non sprechiamo questa occasione.
Da “LA PROVINCIA QUOTIDIANO di SONDRIO” DEL 19.10.2007